La Terza Sinfonia di Beethoven, che riporta il titolo di Sinfonia eroica per festeggiare il sovvenire di un grand’uomo, era stata da principio dedicata a Napoleone in cui l’autore aveva inizialmente identificato l’incarnazione dello spirito politico dell’epoca
La Terza Sinfonia di Beethoven, che riporta il titolo di Sinfonia eroica per festeggiare il sovvenire di un grand’uomo, era stata da principio dedicata a Napoleone in cui l’autore aveva inizialmente identificato l’incarnazione dello spirito politico dell’epoca; la delusione di questa speranza dopo l’auto-incoronazione ad Imperatore da parte di Napoleone spinse poi Beethoven a cambiare la dedica in favore di un ignoto grand’uomo. Sembra quindi ironica la scelta del programma che affianca alla Sinfonia Eroica il Quinto Concerto per Pianoforte e Orchestra, noto invece con l’(apocrifo) appellativo di Imperatore.
Al di là delle evocative coincidenze, il programma del concerto rappresenta il manifesto del Beethoven più paradigmatico, quello del periodo centrale della sua produzione artistica. Le due composizioni segnano, per motivi diversi, uno forte rottura con il passato e l’affermazione convinta dello stile eroico.
L’attacco del Quinto concerto è subito l’emblema della rivoluzione: dopo un accordo fortissimo suonato dall’orchestra, presenta immediatamente la cadenza del pianoforte. Questa, nella tradizione musicale dell’epoca, arrivava in genere più avanti, dopo l’esposizione di tutti i temi del concerto. Qui invece l’irrompere dell’estro pianistico sigilla il protagonismo assoluto affidato allo strumento e uno stravolgimento dei canoni compositivi. Mentre nei concerti per pianoforte precedenti (si pensi a Mozart o a Haydn) il gioco tra pianoforte e orchestra era caratterizzato da un ripetuto scambio di ruoli, qui, dopo l’irrompere della cadenza. i due strumenti iniziano a tessere una trama sempre più intricata, ricca di continue invenzioni.
L’esecuzione pianistica di Kirill Gerstein, al suo esordio a Santa Cecilia, è di altissimo livello; una tecnica eccezionale è messa in mostra; l’interpretazione è ricca di scelte personali che a volte risultano però eccessive in un Beethoven in cui i cambi di dinamica e di tempo, rappresentando una parte fondamentale della composizione, sono sempre puntigliosamente segnalate dall’autore nelle partiture. Il pubblico, pur apprezzando l’assoluta padronanza tecnica di Gerestein, sembra non sempre gradire queste iniziative personali che spesso non sono seguite dall’orchestra di Santa Cecilia che Semyon Bychkov dirige in maniera molto controllata. L’ideale amalgama tra piano e orchestra, che rappresenta la cifra della composizione, ne risente in più occasioni.
Anche la Sinfonia Eroica presenta un forte carattere innovativo. Beethoven lo dichiara immediatamente, a partire dal tema che in cui l’arpeggio iniziale fa assaporare una melodia cantabile che poi però non si sviluppa, lasciando spazio ad un intreccio di invenzioni compositive. Le invenzioni sono anche strutturali: nel primo tempo la forma sonata inizialmente seguita viene sorprendentemente rivisitata, nella Marcia funebre vengono inseriti un passaggio in tonalità maggiore e una fuga e tutta la composizione è caratterizzata da continue trovate, giochi di orchestrazione, forti contrasti dinamici e ritmici, colpi di teatro che rappresentano il cuore dello stile compositivo. Si pensi al Finale in cui il celebre tema viene riportato in una lunga serie di dodici variazioni che si susseguono diversissime senza soluzione continuità così ché l’estro creativo supera in protagonismo il lirismo del tema.
Questo spirito compositivo non viene però molto esaltato dall’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia che Bychkov dirige in maniera molto conservativa senza prendere troppi rischi, in un’esecuzione corretta ma che non regala forti emozioni.
Sala Santa Cecilia al completo. Pubblico ovviamente appassionato da un programma senza pari. Applausi intensi ma entusiasmo non elevato.
Scritto da: Lorenzo Asti